Forlì è una città poco conosciuta e frequentata, forse anche a causa di un centro storico senza particolari bellezze. In realtà Forlì è una città con un’anima artistica nascosta, che, se riscoperta, può far ricredere molti su questa città. Pochi sanno che Forlì, durante il Rinascimento, ebbe un ruolo molto importante nell’arte, e tra le sue botteghe si sviluppò uno stile molto originale, a metà tra arte fiorentina e veneziana. A Forlì nacquero alcuni tra i più ricchi e famosi artisti della storia, come Melozzo da Forlì (di cui non è rimasto niente in città, distrutto dai bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale) e il suo allievo Marco Palmezzano.
Una passeggiata in centro può essere un’ottima occasione per riscoprire il Rinascimento forlivese, anche senza dove entrare nei musei!
Il percorso si svolge quasi tutto a piedi all’interno delle mura cittadine. Per raggiungere la frazione il Santuario di Fornò, si può prendere l’autobus 126 fino alla frazione Carpinello, e poi camminare per un chilometro circa.
I primi passi nel Rinascimento forlivese
Il percorso comincia nei pressi della Rocca Ravaldino. Questa fortificazione fu iniziata nel 1471, ed è una delle ultime costruite con questa particolare forma, con robusti torrioni e alte mura: l’evoluzione delle armi da fuoco e l’introduzione di cannoni e bombarde, rese questo tipo di rocche inutili in breve tempo e sostituite con le più efficaci fortificazioni alla moderna. Fu proprio qui che Alessandro Borgia catturò Caterina Sforza durante l’assedio del 1500.
Percorrendo via Regnoli si raggiunge la tappa successiva: la Basilica di San Pellegrino Laziosi. La chiesa ospita il Monumento funebre di Luffo Numai, importante politico, letterato e amante delle arti nella Forlì di fine Quattrocento. Scolpita nel 1502 da Tommaso Fiamberti e Giovanni Ricci, artisti di origine ticinese, richiama i modelli che andavano di moda a Firenze, sia nella struttura, sia nel motivo dei putti che reggono la targa commemorativa. I due scultori, tuttavia, abbondano nelle decorazioni, e le figure sono ingenue e caricaturali, con arti sproporzionati e scarsa prospettiva, uno stile che si avvicina molto a quello nell’area tra Ticino e Lombardia.
Dalla basilica si prende via Miller fino a giungere ai Musei di San Domenico. Proprio a fianco dei musei si trova l’Oratorio di San Sebastiano, oggi sede espositiva. Questa chiesa è quanto di meglio possa offrire l’architettura rinascimentale forlivese, ed è un ottimo esempio di chiesa a pianta centrale, tra le molte che furono costruite tra Quattro e Cinquecento. Disegnata da Pace di Maso del Bombace, architetto forlivese, si richiama all’architettura del Brunelleschi (vedi la Cappella Pazzi) e dell’Alberti, e per questo motivo alcuni studiosi hanno teorizzato una collaborazione di Melozzo da Forlì nella sua progettazione.
Il Palmezzano e il Rinascimento forlivese
Prendendo via Leone Cobelli si raggiunge la quarta tappe del percorso: la Cattedrale di Santa Croce. Il Duomo forlivese è famoso per la Cappella della Madonna del Fuoco, che al suo interno ospita una xilografia del 1432, tra le più antiche del mondo. Ciò che interessa a noi, però, è la Cappella del Santissimo Sacramento, altra opera di Pace di Maso del Bombace. Anche qui i richiami al Brunelleschi sono molti, anche se la pesante decorazione aggiunta nel Seicento impedisce una buona lettura della cappella. Lungo la navata sinistra, incontriamo la prima delle opere di Marco Palmezzano nel corso della passeggiata: si tratta del San Rocco all’interno della Cappella di Sant’Anna.
Dal duomo, si imbocca via Solferino e poi via Episcopio vecchio, per raggiungere la quinta tappa del percorso: la chiesa di San Biagio. L’aspetto moderno si deve ad uno degli eventi più dolorosi della storia forlivese: il 10 dicembre 1944, un aereo tedesco sganciò un potentissima bomba, disintegrandola. Si perse così per sempre la Cappella Feo, dipinta da Melozzo da Forlì e Marco Palmezzano, una delle più famose opere del Rinascimento forlivese e del nord Italia. Ci rimangono solo le foto in bianco e nero degli Alinari, fatte durante la grande mostra su Melozzo negli anni ‘30 (una situazione simile agli affreschi del Mantegna nella Cappella Olivetani a Padova). Si salvarono solo pochissime opere: una Madonna in Trono con bambino e Santi di Marco Palmezzano, che si trova sul primo altare a sinistra, un’acquasantiera quattrocentesca con una rana, oltre al Monumento funebre di Barbara Manfredi, oggi nell’Abbazia di San Mercuriale.
Capolavori di scultura
Per raggiungere la sesta tappa, conviene percorrere via Paradiso, poi via Orsini, e poi risalire lungo viale Mazzini, arrivando così alla Chiesa del Carmine. Sulla spoglia facciata della chiesa fa bella vista di sé il portale marmoreo, opera di Marino di Marco Cedrino del 1465, e che un tempo fungeva da portale monumentale del Duomo. Lo stile scultoreo del buon Marino testimonia bene quell’arte provinciale che cercava di unire le nuovi indicazioni rinascimentali provenienti dai centri più innovativi, con la tradizionale arte di gusto gotico. Il risultato è quindi una scultura ibrida, con ampio uso di decorazioni rinascimentali quali festoni o cornici a palmette, a figure che ancora mostrano le sinuosità e allungamenti gotici.
Proseguendo lungo viale Mazzini si raggiunge la settima e ultima tappa cittadina: Piazza Saffi. Qui si trova Palazzo Albertini, costruito tra Quattro e Cinquecento, riconoscibile per il bel loggiato che lo contraddistingue.
Di grande importanza è l’Abbazia di San Mercuriale, dove si conservano le più belle opere del Rinascimento forlivese. Nella navata destra è il Monumento funebre di Barbara Manfredi, scolpita nel 1466 dal fiorentino Francesco di Simone Ferrucci, il cui stile è molto vicino a quello morbido e dolce di Desiderio da Settignano. Qualche metro più avanti, si trova una Madonna col Bambino di Marco Palmezzano. Il vero capolavoro dell’abbazia è la Cappella dei Ferri, lungo la navata sinistra. Costruita dal 1515 da Giacomo Bezzi, decorata con sculture in pietra d’Istria dal veneziano Jacopo Veneto, al suo interno ospita uno dei maggiori dipinti del Palmezzano, la Pala dell’Immacolata.
Il Rinascimento in campagna
Il percorso cittadino termina qui, ma volendo si può fare una breve escursione in campagna, a visitare il Santuario di Santa Maria delle Grazie di Fornò. Dalla stazione degli autobus si prende il bus 126, scendendo alla frazione Carpinello. Da qui il santuario dista circa un chilometro da fare a piedi per strade di campagna.
Il Santuario ha la caratteristica forma di rotonda. Fondato a metà Quattrocento, il suo attuale aspetto risale al 1500 circa, quando Maso di Pace del Bombace (attribuzione incerta) la ristrutturò. Alla decorazione scultorea lavorò Agostino di Duccio, artista impegnato in quegli stessi anni presso il Tempio Malatestiano di Rimini, il quale compì la Madonna col bambino visibile nella nicchia sopra l’ingresso, il Monumento funebre di Pietro da Durazzo, fondatore del santuario, posto all’interno della chiesa, oltre al bassorilievo della Trinità. Tutte queste opere sono state realizzate nel 1455-60, per il santuario originario.